La solitudine del medico e del paziente
"Apre di notte il 10 marzo la prima Unità Covid a Fabriano
sotto la responsabilità condivisa fra Medicina e Pronto Soccorso sotto la mia
responsabilità. Ar[1]rivano i primi pazienti da
Pesaro.… quasi che non ce li aspettavamo così subito. Inauguro i due primi
turni quello del mattino ed il primo turno notturno dalle ore 20 alle ore 8
dell’11 marzo e si avvia una vita 'separata' in casa che durerà per circa 2
mesi. Inizio a dormire su un materasso gonfiabile nel mio studio di casa,
mangio in una cucina separata ed evito contatti fisici con i miei figli e
con mia moglie”. Il dott. Maicol Onesta ha appena iniziato la sua testimonianza
in qualità di dirigente me[1]dico responsabile della Uoc
Medicina Interna dell’ospedale “Profili” di Fabriano. Lo stimato me[1]dico apre così il 1° Corso
di Formazione al Volontariato Pastorale organizzato dall’Ufficio diocesano per
la Pastorale della Salute. I ventiquattro partecipanti all’incontro (volontari
di diverse associazioni, operatori Caritas, ministri straordinari della Comunione,
laici impegnati in varie parrocchie) sono in ascolto delle sue paro[1]le, come calamitati dalla
sua presenza. Tutti noi avvertiamo che chi parla non sta facendo discorsi
astratti, ma sta trasmettendoci un’esperienza, che forse molti potevano intuire
e di cui magari avevano anche sentito dire, ma ora è diverso, le sue parole
entrano nel cuore. Nel teatrino della parrocchia San Giuseppe Lavorato[1]re regna un silenzio
profondo che favorisce non un formale ascolto, ma una condivisione emotiva e
cognitiva che scalda il cuore e fa pensare. Il tema dell’incontro è la
solitudine che questa pandemia, con cui stiamo ancora facendo i conti, ha
prodotto nell’ambito della sanità su tutti i versanti, tra i medici e tra i
pazienti degenti ospedalieri. La prima ondata Sars[1]CoV-2
dal 9 marzo 2020 produsse l’amara e devastante esperienza di un prolungato
lockdown, che ebbe ripercussioni inaudite a tutti i livelli nella vita sociale
della nazione. Fu come un’invasione improvvisa e totale di un nemico invisibile
e sconosciuto che ci traumatizzò e ci fece prendere coscienza della nostra
impotenza e precarietà. Paura, angoscia, sofferenze mai sperimentate prima, il
mondo intero era diventato preda di una paralisi strutturale che ci attestava
che veramente “l'uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa”
(Sal 144, 4). Avvertimmo tutti la precarietà e la transitorietà dell’esistenza
umana, la paura di poter morire isolati da tutti e da tutto soffocati nel
respiro, avvertimmo il disagio del distanzia[1]mento
sociale. In campo medico ancora non erano chiare le strategie operative e
terapeutiche da adottare, i dispositivi di sicurezza scarseggia[1]vano, gli ospedali erano al
collasso. Poi con l’estate si sperava che anche il virus se ne andasse in
vacanza per sempre, ma dopo la vacanza anche il Covid riprendeva la sua
attività con ancora più virulenza, la seconda ondata era già pronta per l’autunno.
Intanto la sanità a tutti i livelli arrancava, si adottavano come al solito
delle soluzioni emergenziali, ma non c’erano strategie operative chiare. Le
carenze strutturali che prima dello scoppio della pandemia si riuscivano in
qual[1]che modo a gestire, ora
invece stanno mettendo a nudo un sistema sanitario nazionale bisogno[1]so di una profonda riforma
strutturale. Un sistema quello italiano che garantisce il diritto di cura a
tutti, ma che sta mostrando più di una falla, soprattutto nel[1]la carenza di personale
medico. I malati però ci sono sempre, non diminuiscono, e non ci sono solo i
pazienti Covid, ma anche gli altri. La cura delle persone affette da patologie
ordinarie ora è più difficile. Le liste di attesa dei presidi ospedalieri
pubblici si allungano sempre di più, il Covid sottrae spazi e risorse umane
normalmente dedicate ad altre patologie. Pur se classificato come ospedale
Covid free anche il “Pro li” nel corso delle varie ondate pandemiche ha dovuto
rimodulare gli spazi interni e creare delle aree terapeutiche de[1]dicate alla cura di
pazienti Covid. In questa fase pandemica con prevalenza virale della variante
omicron sembra ancora bastare il Pronto Soccorso per assorbire i contagiati
bisognosi di degenza ospedaliera, in attesa di essere poi eventualmente
trasferiti in altri ospedali dell’Area Vasta 2 adibiti alla cura specifica. Il
ricovero in ospedale in regime di isolamento da ogni affetto familiare o
amicale fa sicuramente acuire la sofferenza del malato. Eppure anche l’amara
esperienza della degenza ospedaliera in tempo di pandemia può diventare
opportunità per una testimonianza di umanità redenta dalla grazia di Cristo
che, malgrado la fragilità della condizione di malattia, sa aprirsi a chi è
vicino (co-degenti e operatori sanitari) con uno sguardo di compassione e di
fede. Anche la degenza ospedaliera può quindi diventare un’occasione di
relazionalità e di prossimità umanamente buona. Questa è stata in sintesi
l’esperienza che ha fatto e che ci ha raccontato Maria Virginia Rizzo, abitante
in Ancona, ricoverata per un mese al “Pro li”, prima nel reparto di Ortopedia,
poi in quello di Riabilitazione Intensiva. Anche la sua testimonianza ha molto
colpito l’uditorio ed ha aiutato a fare prendere coscienza dell’importanza
della spiritualità nella cura e nell’assistenza alla persona malata. La
dimensione spirituale infatti fa parte della persona umana e costituisce una
risorsa di forza interiore che aiuta a sopportare con pazienza la sofferenza
causata dalla malattia e a non rinchiudersi in sé stessi facendosi prendere da
pensieri negativi e depressivi. La testimonianza di Maria Virginia è
emblematicamente rappresentata in questa sua frase che ha detto durante il suo
intervento: “Ho meditato lungamente sulle vicende umane, sulla malattia, sulla
sofferenza. Ma soprattutto su chi c'era intorno a me: i malati, ma anche, come
ho detto, chi si impegnava per noi giorno e notte ognuno col suo compito,
ognuno con le proprie solitudini. Era la parte della giornata che de[1]stinavo al ‘pensiero’.
Dicevo: ora devo pensare. Era un lavoro. Era guardare me stessa ma in relazione
agli altri in una dimensione aperta, nell'arena della vita. Tutti in qualche
modo racchiusi in un circolo sinergico di aspettative, dolori, tensioni
emotive, gioie, disperazioni”.
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