Nessuno si salva da solo...

Siamo ormai in "fase 2". Dopo i lunghissimi giorni di rigido lockdown che hanno messo a dura prova tutti noi, ora riprendono gradualmente alcune attività economiche. Ancora c'è comunque molta incertezza, paura e confusione e il tessuto sociale ed economico rischia di sfilacciarsi, aggravando così una situazione che già appare molto critica. Anche la vita ecclesiale è ormai come sospesa su una nuvola, una specie di cloud virtuale accessibile con i mezzi della comunicazione sociale, che ci permettono un certo grado di comunicazione e di comunione, ma che non possono certo sostituire l'incontro personale, la comunità fisica e i sacramenti. La Chiesa Italiana all'inizio dell'emergenza sanitaria ha giustamente tenuto un atteggiamento di responsabile collaborazione con le autorità governative e sanitarie, ma ha provato anche delusione e frustrazione nel constatare che nella programmazione della "fase 2" le autorità civili non avevano ancora concretamente pensato a far riprendere le celebrazioni nelle chiese (a parte i riti funebri in modalità assai limitata). La prima reazione della CEI è stata quindi molto netta e questo ha causato un ripensamento da parte delle autorità governative, che ora, a quanto pare, stanno preparando un protocollo d'intesa con la Chiesa Italiana per far ritornare la gente alla pratica del culto pubblico nelle chiese. Anche Papa Francesco è dovuto intervenire per smorzare i toni, che in alcuni casi sono risultati molto accesi (vedi la reazione del Vescovo di Ascoli Piceno), e per facilitare quindi il dialogo tra Stato e Chiesa in questo momento in cui è molto importante cercare di mantenersi coesi ed evitare polemiche distruttive. Il coronavirus ci ha resi tutti vulnerabili e ha scoperto tutti i nostri limiti, non solo in ambito sanitario, ma anche in tutti gli altri ambiti vitali, compreso quello ecclesiale. La Chiesa, si sa, è fatta di uomini e donne che hanno le loro vedute e impostazioni a volte non sempre omogenee, e questa non è una novità. Tuttavia è molto importante non perdere di vista l'obiettivo comune e saper interagire in una dimensione di comunione, proprio come avviene in questi giorni negli ospedali dove è richiesta una pluralità di competenze e risorse umane diverse fra loro, ma tutte convergenti in sincronia verso la cura della persona malata. Chiesa come ospedale da campo quindi, dove oltre che portare la cura è prima ancora più importante lasciarsi curare dal Signore per dare il meglio di noi stessi con amore. Ultimamente sono rimasto molto colpito dalla testimonianza di una Dott.ssa operativa in prima linea nell'INRCA di Ancona, dove sono assistiti diversi pazienti Covid. Mi riferisco a Maria Rita Lombrano, che riferendosi alla sua professione medica in questo tempo di emergenza, ha tra l'altro affermato: " Non è stata una guerra e non è permesso l'alibi degli eroi con cui il mondo vorrebbe viverci...perché siamo "uno di voi", e siamo qui poiché la passione per l'essere umano e per la medicina hanno dettato la scelta di questo lavoro. Un lavoro che si costruisce con anni di sacrifici, prima sui libri e dopo in prima linea. Ed oggi, come ieri, non stiamo facendo altro che rinnovare il nostro "Sì" che è un "Sì" alla passione e al servizio della scienza per il benessere dell'umanità...". Di seguito trovate il link per collegarvi al sito dove poter accedere al video dell'intervista rilasciata a è-Tv lo scorso 1 maggio: Intervista Maria Rita Lombrano








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